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Perché «l'Italia va meglio di quanto si creda»

di Nino Ciravegna

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6 Ottobre 2009

Ricordate la scandalo del vino al metanolo? Nel 1986 un gruppo di mascalzoni a Narzole (Cuneo) ha causato 22 morti con il vino adulterato e uno scossone all'intero settore vitivinicolo. La crisi, gravissima, avrebbe potuto azzerare un settore che in gran parte vivacchiava sulla quantità, con i vini da taglio per i cru francesi o il famigerato wine-cola. Ma i produttori hanno reagito, pur perdendo pezzi importanti, e il 1986 è ora ricordato come l'anno della rivoluzione qualitativa che ha portato il vino italiano al primo posto nel mondo per export in valore e in quantità. In questo caso la crisi, gravissima anche per il numero dei morti, è servita.

La crisi attuale farà altrettanto? Il punto più basso della curva produttiva diventerà il punto di partenza di una ripresa con massicce iniezioni di innovazione ed efficienza? Ermete Realacci, presidente di Symbola, non ha dubbi: «Non dobbiamo sprecare la crisi. È difficile, lo so, ma questi mesi di terribile frenata debbono essere utilizzati per cambiare in profondità le aziende». Marco Fortis,vicepresidente della Fondazione Edison insiste: «Conosciamo tutti le debolezze italiane, a partire da una burocrazia asfissiante e un elevato tasso di illegalità. Ma troppo spesso siamo portati a sottovalutare i punti di forza del nostro paese. Abbiamo una grande capacità di innovare, un patrimonio storico-artistico invidiabile, una produzione agroalimentare di altissimo livello, modelli di eccellenza grazie ai distretti e alle filiere territoriali». Casi di eccellenza contagiosi per trainare l'economia reale, la seconda a livello europeo, dietro la Germania, nel dopo-crisi. Anzi, secondo Realacci, «a permettere al nostro paese di anticipare la ripresa, come sostiene da mesi l'Ocse».

I grandi istituti internazionali stanno scoprendo la forza dell'economia reale italiana. Dopo la sbornia finanziaria, madre di tutti i guai attuali. L'indice di competitività Onu-Wto, il Trade performance index, colloca l'Italia al secondo posto, dietro la Germania, nella classifica dei paesi più competitivi nel commercio mondiale. E Goldman Sachs, che tre anni fa aveva cinicamente liquidato l'Italia («le rimane il cibo e un po' di calcio»), ha pubblicato un report dal titolo significativo: L'Italia va meglio di quanto si creda. Un cambio di rotta un po' tardivo. Ma salutare, secondo Fortis: «Andare contro, e oltre, la crisi richiede anche un'operazione culturale che accantoni definitivamente tutte le letture che dipingono l'Italia come la grande malata d'Europa». Questo il filo conduttore, ricco di ottimistica pur con i piedi per terra di fronte alla Grande Crisi, del secondo rapporto Italia - Geografie del nuovo made in Italy realizzato da Symbola e dalla Fondazione Edison, che sarà presentato domani nel corso di un convegno all'Assolombarda.

Il nostro paese, sintetizza il rapporto Symbola-Fondazione Edison, ha un patrimonio eccezionale, fatto di piccole e medie imprese, distretti e filiere produttive che va aiutato, rafforzato e liberato da tutti quei freni che hanno impedito di sfruttare fino in fondo le enormi potenzialità del made in Italy. E che sono sempre più insopportabili in questi momenti duri, come evidenziano le testimonianze online degli imprenditori inviate al sito del Sole 24 Ore.
Ottimismo, dunque. E ripresa trainata-anticipata dai casi di eccellenza, che spesso sfuggono alle statistiche. Per esempio, la ricerca: nelle classifiche internazionali l'Italia è sempre in zona retrocessione per le spese di ricerca e sviluppo.

Ma non sempre è così: «In Italia - spiega Fortis - nel 2008 si è registrata una netta crescita delle piccole aziende che hanno affrontato la competizione globale incrementando la qualità dei prodotti: il 71% contro una media europea del 64. E queste imprese hanno ottenuto il 12% del fatturato dall'immissione sul mercato di prodotti innovativi, molto meglio di Germania, Spagna e Francia». È la soft-innovation, poca ricerca di base, ma molte novità sul prodotto, sui materiali e sul design (il 14% dei brevetti mondiali sul design tutela made in Italy). «L'Italia è in ginocchio - conclude Realacci - ma non sta affondando e saprà trovare spazi adeguati nel nuovo scenario competitivo mondiale».

6 Ottobre 2009
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